Memorabilia #37

Il post dice già tutto. Mi limito a suggerirvi, se ancora non lo conoscete, di ascoltare questo disco. E' unico, anche perché putroppo le Organ non esistono più

Post pubblicato martedì 27 giugno 2006, alle ore 16:31


The Organ
Grab That Gun
Un terremoto. Uno Tsunami. Un fulmine globulare a ciel sereno. Chiamatelo come volete, ma questo è stato il primo folgorante incontro con questo disco.
Sto bighellonando alla Fnac scartabellando con poca convinzione tra i cd, (non vi capita mai di aver voglia di comprarvi qualcosa senza aver la più pallida idea di che cosa?) fermandomi sulle copertine che ritengo più interessanti, ho il brutto vizio di farmi attirare dalle copertine e se ci casco rischio sempre di prendere delle cantonate clamorose, perciò quella di Grab That Gun non l’ho neppure degnata di uno sguardo. Sto per andarmene, nemmeno troppo deluso, quando lo sguardo cade su quelle colonnine per l’ascolto degli ultimi arrivi “caldamente consigliati”.  Il primo dei tre dischi disponibili è proprio questo. Sempre poco convinto decido di ascoltarlo. Infilo le cuffie e schiaccio il tastino. Mi basta il minuto iniziale di Brother per rimanere folgorato e precipitarmi alla cassa con la mia copia dell’esordio delle The Organ. Le cinque ragazzine di Vancouver non sono figlie del nostro tempo. La voce di Katie Sketch mi mette i brividi ad ogni nuovo ascolto: è un ibrido tra Morrisey e Patti Smith, il basso di Shmoo è la copia carbone di quello di Peter Hook (Joy Division, New Order) e la chitarra di Debora Cohen è stata sicuramente rubata a Johnny Marr (i fraseggi più melodici sono scandalosamente, in senso buono, “smithsiani”). E poi l’hammond, strumento che adoro e forse inusuale in questo contesto, mai relegato in secondo piano (finalmente!), ma sempre presente e puntuale nel ricamare atmosfere malinconiche senza perdersi in inutili fraseggi inconcludenti. Finalmente un hammond usato come si deve! Il bello di tutto questo minestrone post-punk, new wave, new-romantic è che funziona! Tutto è coeso, amalgamato in un turbine d’emozioni romanticamente crepuscolari e decadenti che pur ricalcando il sentiero tracciato agli inizi degli anni ottanta da gruppi come Cure, Joy Division e leggermente più tardi dagli Smiths, ne emerge con una personalità ben definita. Pur brillando di luce riflessa, troppi i rimandi e le similitudini col passato e con altri artisti, questo è un bel disco. E’ musica che emoziona e tutto il resto conta poco.

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