Memorabilia #1

 

Il primo post non si scorda mai.

Mercoledì 5 novembre 2003 alle ore 23:47 compariva il primo post di Silverfish Imperetrix.
Con un articolo simile, al giorno d'oggi si campa una settimana pubblicandolo in cinque post differenti ma all'epoca lo standard e i tempi erano molto più dilatati e tranquilli. Non c'era l'ansia da prestazione perché non dovevi accalappiare il lettore con post veloci e modaioli. Inoltre il pubblico era il cosiddetto pubblico di nicchia, più che altro incuriosito da quel manipolo di appassionati che si divertiva a improvvisarsi giornalista, critico musicale o cinematografico. Il gioco poco alla volta si è trasformato, facendosi serio e a volte serioso. Qualcuno è diventato (giustamente) famoso e qualcun altro si è montato un po’ troppo la testa costruendosi un piedistallo su cui issarsi per poi sbraitare alla nascente blogosfera tutta la sua boria e acredine verso il mondo intero, reo di non riconoscere il suo genio. Certe notti, quando soffia il vento, si può ancora sentire l’eco del ruzzolone da quel sostegno costruito su fragili basi d’argilla.
Il primo post che timidamente pubblicai senza andar troppo per il sottile lato formattazione e punteggiatura, prendeva in esame cinque dischi. 
Lo speranzoso debutto dei The Music, ovvero l’ennesima falsa promessa della terra d’Albione che dopo questo fulminante e a suo modo pioneristico disco (i Led Zeppelin incontrano la dance) purtroppo si è persa nella nebbia. Il super gruppo spacca grugni degli Audioslave, che prendeva tre quarti dei defunti Rage Against The Machine e un quarto (e che quarto!) dei Soundgarden, per quello che avrebbe potuto essere ma non è stato. Poi un paio di sassate con gli Spiritual Beggars, ancora in circolazione e i Down di Phil Anselmo che pubblicarono quello che, secondo il sottoscritto, rimane il loro miglior lavoro e che tutti quelli che amano le sonorità dure e cupe dovrebbero andare a recuperare immantinente! Per concludere, un paio di dischi che se non sono capolavori poco ci manca. Ormai considerati a furor di popolo e critica dei classici moderni: il romantico e mai più eguagliato esordio degli Interpol e le fulminanti canzoni per sordi dei Queens Of The Stone Age
Musicalmente parlando, erano ancora bei tempi.




THE MUSIC


The music (Hut Recordings)
Questi ragazzi hanno scelto un nome semplice, ma al tempo stesso importante per il proprio gruppo. Si tratta forse di presunzione? Se anche fosse questa presunzione gliela si può perdonare, perché il primo omonimo disco dei The Music è un gran bel lavoro. Divertente, originale, a tratti ingenuo, ma assolutamente trascinante. (Provate a star fermi ascoltando The Dance o The People ) I quattro ragazzotti inglesi propongono una miscela di rock, ritmi prettamente dance e psichedelia il tutto miscelato alla perfezione e con ottimi risultati.
Il seme gettato dai Led Zeppelin qui ha attecchito perfettamente e non solo per quanto riguarda i riff di chitarra, ma anche nella bella voce di Robert Harvey che a tratti assomiglia in modo impressionante al Plant più ispirato, mentre qua e là fanno capolino i Pink Floyd più spaziali (quelli di Interstellar overdrive, per intenderci).
Considerando la giovane età del gruppo inglese è lecito aspettarsi una crescita artistica che scremi le (piccole) imperfezioni di un disco innovativo e coraggioso, ma soprattutto sincero, sperando che con il successo ottenuto con l’album di debutto, i The Music non si montino la testa.
Sicuramente uno dei dischi più interessanti del 2002.

DOWN

II - A Bustle In Your Hedgerow (Elektra)


Il secondo disco per il side project di Phil Anselmo,voce dei Pantera e Pepper Keenan, chitarra dei Corrosion of Conformity coadiuvati per l’occasione dal basso di Rex Brown dei Pantera ci trascina nelle melmose paludi degli Stati uniti del sud. E non è certo una gita di piacere: tra sabbie mobili, alligatori e tamburi sommessi in odore di woodoo i Down nel loro secondo capitolo mescolano sonorità tipicamente doom a quelle orgogliosamente southern rock (The Man That Follows Hell) e alternano parti lisergiche (Landing On The Mountains Of Meggido) a furiose bordate heavy (New Orleans Is A Dying Whore ). Il risultato che ottengono è un disco cupo e pesante grazie ai riffoni di Keenan e che trasuda un qualcosa di malsano tramite la complicità delle roche vocals di Anselmo. A proposito di Anselmo, il singer sembra trovarsi più a suo agio nei suoi numerosi side project (oltre ai Down i Superjoint Ritual) che in casa Pantera, ultimamente un po’ giù di corda. Se A Bustle In Your Hedgerow avrà il successo che merita penso proprio che il pupillo se ne andrà di casa. Questo è un disco che suona maledettamente bene, la coesione tra i membri del gruppo funziona e si sente, i Down sono qualcosa di più che un semplice progetto estemporaneo. “Take me to the limit I’m not afraid to die” e detto da Phil Anselmo c’è da crederci! 

INTERPOL


Turn on the bright lights (Matador)
Sono tornati gli anni ottanta! Attenzione però, non quelli caciaroni e sintetici di quel easy pop alla Duran Duran che faceva tanto impazzire le ragazzine, ma la new wave dei Roxy Music e l’oscurità post punk dei Joy Division. Totbl è l’album d’esordio di quattro ragazzi newyorkesi che dal look sembrano figli del Brian Ferry più dandy e che dalla musica che suonano sembrano fratelli di Ian Curtis. A conferma di quest’ultima affermazione a volte, durante l’ascolto del disco, la voce di Paul Banks assomiglia maledettamente a quella dello sfortunato Ian. Qualcuno potrà storcere il naso di fronte ad un album figlio di tale epoca che può apparire anacronistico e fuori luogo. Che bisogno c’è di un album così oggi?
Forse non ce n’è bisogno o forse sì ma non importa, perché ascoltando perle come NYC, Obstacle 1 o Stella was a diver and she was always down tutti gli interrogativi scompaiono risucchiati nel flusso delle emozioni evocate. Emozioni figlie di un disco sincero ed elegante come se ne vedono pochi di questi tempi.
Non c’è nulla di nuovo nell’esordio degli Interpol, ma chi ha mai detto che le cose belle devono necessariamente essere figlie delle novità?

AUDIOSLAVE


Audioslave (Epic)
E finalmente il supergruppo nato dalle ceneri dei Soundgarden e dei Rage against the machine è riuscito a pubblicare il disco reclamato a furor di popolo dai nostalgici post-grunge che vedevano sprecato il talento di Chris Cornell e dai crossoverini orfani di un arringatore come Zakk De LaRocha. Alla notizia dell’ unione definitiva di Cornell e dei tre Ratm a titolo Audioslave mi si è presentato un dubbio atroce: “Non è che adesso questi mi fanno rappare il buon Chris?” E penso che questo legittimo dubbio sia passato nella testa di molti. Per fortuna così non è stato. Tutti si aspettavano molto da questo disco, una sorta di fusione tra crossover e post-grunge, una ventata di novità per rinfrescare un ambiente stagnante. Ad essere sinceri da questo punto di vista il disco è una delusione, ma sotto altri aspetti il debutto degli Audioslave è un bel disco. In soldoni il supergruppo non è altro che una sorta di Soundgarden più heavy, ma neppure troppo. Era lecito aspettarsi di più anche se canzoni come Cochise o Shadow of the sun sono già dei classici, perché ad un Cornell perfetto (anche se un po’ troppo urlatore, ma è il classico pelo nell’uovo) si contrappone un Morello in disparte quasi a nascondersi dietro riffs anche accattivanti, ma pressochè anonimi accennando solo a volte quelle distorsioni, quei feedback e quelle stranezze chitarristiche che sono il suo marchio di fabbrica. E’ questo l’unico punto debole di un disco pressochè perfetto, ma al quale un tocco di originalità in più avrebbe certamente giovato. Peccato perchè se i quattro avessero osato di più poteva essere un capolavoro. Rimane da considerare che questo è il debutto: per i capolavori c’è sempre tempo.

QUEENS OF THE STONE AGE


Songs for the deaf (Auglobe/Relapse)
Chi l'avrebbe detto che dopo la seminale ed irripetibile esperienza dei Kyuss, Josh Homme e Nick Oliveri sarebbero riusciti a partorire un’altra incredibile creatura? Non è più stoner, ma non è punk e non è metal, ma come ha ben detto Mark Lanegan “beccato” da un noto settimanale musicale “no comment it’s only rock’n’roll”! But i like it oserei aggiungere! Ecco la definizione che calza a pennello per il nuovo album dei Qotsa che per l’occasione hanno allestito un supergruppo chiamando a sé nientepopodimeno che Dave Grohl (ex Nirvana, Foo Fighters) dietro le pelli e Mark Lanegan (ex Screaming Trees) a cantare una manciata di canzoni. L’inizio è al fulmicotone. si parte sparatissimi con You think I ain't worth a dollar but i feel like a millionaire e si prosegue con il divertente singolo No one knows, basterebbe già questa accoppiata per parlare di un grande disco, ma poi arrivano Do it again e Songs for the dead e allora si grida al miracolo. E dove meno te lo aspetti i Qotsa ti rifilano una mazzata sui denti che ti lascia a terra privo di sensi: Mosquito song, nessun “frega forte” sulla chitarra scordata, nessuna doppia cassa a manetta, tanto care a certi fracassoni inconcludenti, ma una ballata southern con un break centrale di archi mozzafiato. Per non parlare di Happy, bonus track goliardica, divertente, semplice e geniale allo stesso tempo. I Qotsa non aggiungono nulla alla storia del Rock, ma nella loro “normalità” risultano davvero imprevedibili e geniali. 

SPIRITUAL BEGGARS


On fire (Music for Nations)
Le consuete divergenze stilistiche ed i continui contrasti caratteriali tra Mike Amott e Spice portarono, qualche tempo fa, al divorzio tra quest’ultimo e gli Spiritual Beggars. Un duro colpo per il gruppo che perdeva il suo carismatico frontman dopo aver inciso un gran disco come Ad Astra che aveva permesso al combo svedese di uscire dall’anonimità in cui galleggiano moltitudini di gruppi stoner o presunti tali. Rimpiazzato il dimissionario con il misterioso JB, voce dei Grand Magus, i mendicanti spirituali si ripresentano al grande pubblico con un album che non fa altro che confermare lo stato di grazia in cui Amott si trova al momento. Undici pezzi, tutti a firma del barbuto chitarrista, all’insegna di quell’hard rock di stampo settantiano che da sempre ha fatto capolino nei lavori dei Beggars e che ora viene portato in primo piano abbandonando tutte le velleità stoner. Ed il risultato che ne consegue è ottimo. Il nuovo cantante è dotato di una voce potente, ma al tempo stesso melodica che non fa rimpiangere più di tanto il vecchio vocalist e le tastiere (hammond soprattutto), che ormai sono entrate in pianta stabile nel gruppo, infondono una maggiore profondità e quell’atmosfera retrò che ben si confà al suono dei Beggars.
Le canzoni di On Fire sono belle, ma su tutte potrei citarvi la sparatissima opener Street fighting saviour, con tanto di break tribale, l’anthemica Killing Time con il suo space bridge e The lunatic fringe con l'emozionante intro acustica ed il finale che richiama antiche magie pinkfloydiane.
E che dire di Fools Gold il cui riff pare un tributo al break finale della War Pigs di sabbatiana memoria? A mio giudizio il miglior pezzo dell’album.
Un album sicuramente più orecchiabile dei precedenti, sempre caratterizzato da grandi riffs e grandi assoli ma con un tocco in più e che non guasta mai: la melodia. Ascoltate l’assolo di Look Back: da tempo immemore non ascoltavo dell’hard rock così emozionante.

Commenti

  1. Eheh, hai ben descritto gli albori del blogging. Anche se tre anni prima di me, anche io mi ritrovo in certe sensazioni... :)
    Queens of the Stone Age, qualche annetto fa li sentivo per un bel periodo^^

    Moz-

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  2. Interpol, Queens Of The Stone Age e Audioslave: *__*

    Vedo di recuperare tali Down di Phil Anselmo, ché amo le sonorità dure e cupe!

    E ricordo perfettamente i The Music: con The People non si poteva/può star fermi, no!!!

    Ai tempi (del tuo primo post) io non avevo nemmeno una pallida o tenue idea circa la possibilità di avere un blog :P

    A presto!!! ^_^

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  3. E così questo è stato il tuo primo post, eh?
    Audioslave e Queens of the stone Age, quello che sarebbe potuto essere e che non è stato. :(

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  4. @Glò: se ti piace il genere, con i Down avrai pane per le tue orecchie! :-)
    Eh, i The Music purtroppo si sono persi nonostante il loro esordio facesse ben sperare. The People rimane comunque sempre un gran bel pezzo, ideale per sgranchirsi un po'!

    @Miki e Nick: I Qotsa comunque stanno continuando dignitosamente anche se leggermente in flessione dal vivo sono sempre un bel vedere e sentire.

    @Nick: Gli Audoslave sembrava dovessero spaccare il mondo invece si sono limitati a partorire un paio di dischi di buon hard rock. Piacevoli ma nulla più...

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