Recensioni e Diritto all'Oblio.

Tempo fa dissertavo sull'utilità delle recensioni musicali (qui).
Poi ho letto una notizia che mi ha fatto riflettere.
Un giovane pianista si è offeso per una non lusinghiera recensione di un suo concerto, da parte del Washington Post. La recensione in questione non aveva toni offensivi, non era diffamatoria ed era ben circostanziata. In soldoni, il critico affermava che il concerto del pianista fosse stato buono ma non eccezionale. Ne lodava comunque le abilità tecniche ma sottolineava che se non fosse riuscito a tenere a bada l'impeto e l'ostentazione delle suddette, l'esecuzione di alcuni brani sarebbe risultata troppo sopra le righe. L'artista permalosino non ha digerito e ha fatto fuoco e fiamme, arrivando addirittura a rivolgersi alla Corte di Giustizia Europea per far applicare il recente (per il web) diritto all'oblio, anche per quanto riguarda le recensioni.

Per diritto all'oblio s'intende, in diritto, una particolare forma di garanzia che prevede la non diffondibilità, senza particolari motivi, di precedenti pregiudizievoli dell'onore di una persona, per tali intendendosi principalmente i precedenti giudiziari di una persona.
In conformità a questo principio, ad esempio, non è legittimo diffondere dati circa condanne ricevute o comunque altri dati sensibili di analogo argomento, salvo che si tratti di casi particolari ricollegabili a fatti di cronaca e anche in tali casi la pubblicità del fatto deve essere proporzionata all'importanza dell'evento ed al tempo trascorso dall'accaduto.
(Questa è Wikipedia, gente. Io non sono così imparato).
Nel Web questo si traduce come la possibilità di cancellare dagli archivi, anche a distanza di anni, tutto il materiale che può risultare sconveniente e dannoso per soggetti che sono stati protagonisti in passato di fatti di cronaca perché sul web difficilmente si butta via qualcosa e se si fa, come si dice dalle mie parti, prima di buttarlo si fa una fotocopia.
Tra gli imputati, i giornali online e i motori di ricerca che indirizzano agli articoli lesivi.
Bene, appellandosi a questo diritto, che per il web è ancora fonte di accesi dibattiti, il suscettibile pianista ha chiesto nientepopodimeno che alla Corte di Giustizia Europea, d'intervenire e far rimuovere dai motori di ricerca qualsiasi riferimeno all'articolo che il critico cattivone, naturalmente mosso esclusivamente dall'invidia, ha pensato bene di scrivere.

A questo punto scatta per default, il dibattito su più fronti.
Sulla buona fede dei critici. E qui si apre un mondo. Dal blogger livoroso, che deve fare il bastian contrario a tutti i costi, da chi parla di cose che non ha letto/ascoltato/visto solo per questioni di trend topics per aumentare gli accessi, da chi stronca perché gli è antipatico l'autore, da chi incensa perché gli è simpatico l'autore o per il marchettone di turno.
Sulla suscettibilità di certi autori.
Ci sono artisti con un ego che al confronto Galactus si nutre di noccioline. Rispondono alle critiche in due modi: lanciando anatemi, maledizioni e avvocati oppure signorilmente ignorano e vanno oltre.
Ci sono mosche bianche che confutano, ribattono e magari fanno pure un mea culpa. Ma la stragrande maggioranza s'incazza. E l'incazzatura, di solito è inversamente proporzionale alla statura artistica del soggetto.  
Sull'effettivo valore delle recensioni. Può una recensione creare danno? Far diminuire le vendite o l'interesse verso un artista? Dipende dall'influenza del recensore (o sito) o dalla maturità del lettore?
Sul diritto del lettore di essere informato. Se spendo denaro per un libro, un disco, un film o uno spettacolo, non lo faccio a scatola chiusa. Mi sembra una cosa buona e giusta farmi un'idea prima di versare l'obolo, a volte anche abbastanza oneroso.
Sul diritto di cronaca e libertà di stampa. Questo è il punto più delicato. Stroncare l'opera di qualcuno o anche solo evidenziarne i difetti, appartiene al diritto di cronaca e quindi va tutelato come libertà di stampa? E dove si colloca il confine tra critica negativa e diffamazione?
Web Reputation Immacolata. Non è che in questo modo i furbetti del quartierino vogliono solo mantenere una reputazione online apparentemente linda, in modo che i lettori, solitamente frettolosi e distratti, ne abbiano un'immagine solare e priva di ombre?

Un sacco di domande alle quali non è semplice dare una risposta esaustiva, intanto sapete com'è andata a finire la querelle tra il pianista e il giornale?
Ebbene, la Corte di Giustizia ha dato ragione al giovane artista e l'articolo non compare più tra i risultati delle ricerche effettuate con il suo nome. Rimane comunque negli archivi del Washington Post.

Più m'interrogo sulla questione e più penso che l'unica cosa che meriterebbe il diritto all'oblio, è la questione stessa.

Commenti

  1. Domande legittime. Non sono sicuro che il pianista in questione abbia diritto al diritto all'oblio, trattandosi di una recensione. Allo stesso tempo, non sono sicuro che il blogger di turno possa dirsi critico e il suo commento una recensione.

    RispondiElimina
  2. Blogger Diego ha detto...

    Intanto gli hanno dato ragione e Google ha dovuto eliminare qualsiasi riferimento alla recensione. Sicuramente il blogger difficilmente è un critico, al massimo può essere un "opinionista". Però ci sono blog che sono seguiti da migliaia di persone e quindi anche una loro opinione/recensione può influenzare un buon numero di lettori. Sembra che comunque il discriminante sia il bacino d'utenza. Se sul mio blog stronco un "romanzo" di Fabio Volo, a parte i miei pochi affezionati lettori, difficilmente avrei delle grane. Ma se lo fa Booksblog il discorso cambia...

    RispondiElimina
  3. Il fatto è che Booksblog fa parte di una testata registrata. Non so, sto provando a capirci qualcosa. Sono d'accordo con il principio generale, che altro non è che una estensione naturale del diritto alla privacy - penso soprattutto a certi social network che si appropriano dei tuoi dati. Come nel giornalismo, però, ci sono dei limiti entro i quali è consentito diffondere certe informazioni per cronaca o critica. Mi suona strano che sia stato rimosso il collegamento a quella recensione pubblicata sul WP. Però ho anche letto da qualche parte che ciò che viene rimosso è il collegamento nome-contenuto. In altre parole, se uno cercasse "recensione concerto tal dei tali", non passando per il nome dell'artista, dovrebbe poter trovare l'articolo anche in Europa. Sarebbe interessante vedere come il Garante, perché non vorrei proprio che il diritto si traducesse solo in uno strumento per costruire un'immagine pubblica gradita al soggetto interessato.

    RispondiElimina
  4. Bravo, hai centrato la questione. Viene rimosso il link tra nome e recensione. Infatti se cerchi l'articolo con il suo titolo lo trovi, ma se cerchi il nome del pianista no. Questa però è una ricerca mirata "sul pezzo". Non penso che l'utente medio si metta a fare ricerche del genere. Sicuramente farà la ricerca col nome, il risultato sarà una serie di articoli che non rispecchiano la totalità dei giudizi.
    Sul diritto alla privacy è tutto nebuloso. Logicamente è attuabile ai fatti di cronaca o giudiziari, ma se io sono uno scrittore il mio lavoro è di dominio pubblico e così devono essere le valutazioni. Belle o brutte che siano. O sbaglio?

    RispondiElimina
  5. Il problema è vero ed è anche dibattuto da anni.
    Io credo che da molto tempo si stia cercando di imbrigliare la rete, ora attenzione non sto parlando di complotti sto semplicemente dicendo che mancando una seria legislazione in materia si sta cercando di limitare le regole il più possibile.

    RispondiElimina
  6. @Nick è vero che in materia la legge è confusa o mal applicata. Però qui il discorso è quasi "filosofico". Si tratta di eliminare la rintracciabilità di un contenuto che non è diffamatorio ma solo negativo. Così tra qualche hanno, facendo ricerche su google troveremo solo dischi belli, film stupendi e libri imperdibili. E' inquietante...

    RispondiElimina
  7. Attenzione, però. I provvedimenti che imbrigliano la rete sono altri (penso ad ACTA) e sono perlopiù trattative segrete che ogni tanto spuntano come proposte di legge, specialmente negli USA. Il diritto alla privacy è un diritto fondamentale, io ho diritto a non trovare mie informazioni online, a meno che non le metta io o che non sia coinvolto in un fatto di cronaca o che, a mio modo di vedere, non pubblichi qualcosa - in quest'ottica non capisco la decisione di Google.
    Secondo me il problema è che chi deve attuare la norma, che immagino siano i legislatori nazionali o i garanti, non hanno bene delineato i limiti di intervento. Non basta che Google assoldi avvocati in grado di valutare le richieste; servono linee guida chiare che permettano di distinguere, in questo specifico caso, ciò che è privacy e ciò che è critica. L'unica differenza che vedo rispetto alla carta stampata è che il signor Google, nel visualizzare i risultati, può influenzare molto di più la tua immagine pubblica, perché diversamente da una vecchia edizione cartacea, può davvero restare per anni il primo risultato.
    L'altro problema è la difficoltà, in un contesto di analfabetismo digitale, avere ben chiaro che censura e tutela dei diritti (privacy, ma anche copyright) sono due cose molto diverse.

    RispondiElimina

Posta un commento